Il mito della moda... le inesauribili suggestioni della Grecità. Ovvero, come inventare nuovi miti, in un caldo avvio di estate...

                                             


Antefatto 


Il caro amico Eugenio Lato mi ha chiesto, quale Presidente della Società Filellenica Italiana, di scrivere qualcosa per il suo giornale, che nel prossimo numero ha come tema portante “La moda e i miti”.

Così, dopo essermi dilettato in passato a riscrivere in forma letteraria alcuni miti (quello di Europa, di Icaro e di Narciso, che è possibile trovare in questo blog), questa volta ne ho inventato uno di sana pianta, che, è giusto avvertire, non trova alcun riscontro nella tradizione della mitologia greca, ma che pure riecheggia immagini e parole della classicità.

E’ stato divertente per me scriverlo e, mi auguro, possa esserlo per Voi leggerlo...

Ve lo dedico, come augurio di trascorrere un'estate serena, magari in Grecia!



Il mito della moda



Un giorno le dee dell’antica religione, invidiose di Afrodite, decisero di riunirsi in gran segreto, così da trovare, confabulando fra loro, un modo per mettere in ombra la divinità della bellezza agli occhi dei maschi dell’Olimpo.





“Basta, è intollerabile!!!”, disse Era, consorte di Zeus: “tutti gli occhi sono su di lei; quando passa, non c’è dio che riesca a distogliere lo sguardo dalle sue forme sinuose; non c’è sospiro maschile emesso, se non pensando a lei; non c’è sogno di maschio divino di cui non sia protagonista…”

“Si, è intollerabile!” rispose Atena, dea della guerra: “se non fosse immortale come noi, le troncherei con un solo fendente la bella testolina, per vederla rotolare giù dal sacro monte, lontana, finalmente, dagli sguardi desiderosi…”

“Intollerabile, intollerabile, intollerabile!!!”, esclamò veemente Artemide, dea della caccia. E poi, con circospezione e a mezzo tono, aggiunse: “Andiamo in gran segreto da mio fratello Apollo. Lui, il più bello dell’Olimpo, troverà di certo un modo per offuscare la sua ovvero per esaltare la nostra effige, cosicché né mortali né immortali ne siano ancora irretiti!”

Detto fatto, come funziona fra le nubi impenetrabili dell’alto Olimpo, le tre divinità si trovarono dinanzi ad Apollo.


“A cosa debbo, sorella - disse Apollo rivolto ad Artemide – che sì alto consesso si presenti al mio cospetto?”

Era fermò Artemide con la mano, prima ancora che riuscisse a proferire sillaba e disse: “siamo qui per consiglio. La bella Afrodite, a noi pare, si approfitta troppo della sua avvenenza e dell’ascendente che sa di avere sui maschi dell’Olimpo – te escluso, ovviamente, o divino Apollo -. Questa situazione deve finire, per il nostro onore, certo; ma soprattutto per il vostro… ehm, per il loro!”

“Tua sorella ha suggerito il ricorso a te… Parla, Artemide, parla!”, disse Era spingendola innanzi.

E lei, pallida come la luna, aggiunse: “trova un rimedio per offuscare la sua effige, come di giorno l’intensa luce nasconde, abbagliando, il tuo carro splendente; ovvero esalta noi, che pure abbiamo forme e seni e dolcezze…”

Il dio a stento riuscì a trattenere il sorriso. Tirò un sospiro profondo. Guardò per un istante intenso e lungo, ad una ad una, tutte le dee e, infine, disse: “O dee dell’Olimpo, quando la Cipride nacque dallo spumeggiante mare Egeo, ebbe in dono la bellezza suprema, come ciascuna di voi ha avuto un dono che vi rende uniche e potenti signore del mondo. La sua bellezza, quindi, non potrete mai eguagliarla; così come lei non avrà mai la tua maternità, o Era; mai la tua sapienza, Atena; né mai potrà cacciare come te, sorella mia”.


Quindi, dopo un momento di silenzio, soggiunse: “Ma tu, Atena, che prepari armature invincibili e tessi ogni sorta di filo, come nessuna al mondo… tu sola, Atena, puoi preparare tessuti pregiati, morbidi e voluttuosi; tu sola puoi tagliarli e modellarli con fogge diverse e sempre nuove, così che tutti desiderino averli e che gli occhi di ciascuno siano assorti in essi…. dimenticandosi così della bella Afrodite”...


Alle tre dee, colpite da quelle parole, si illuminarono gli occhi: la loro parte femminile prese il sopravvento; sorrisero e si scambiarono sguardi ammiccanti; mentre ad una ad una, con un cenno di saluto, lasciarono il bell’Apollo, che ben le aveva consigliate ma che adesso non poteva certo più essere parte del loro conciliabolo…. Ormai era una questione fra donne, anzi, fra dee…






Atena, tessitrice divina, preparò per primo il suo vestito: fili d’oro giallo e bianco sottilissimi furono intrecciati in una tela leggera come la seta; una parure di avorio intarsiato completò la mise crisoelefantina della statuaria divinità.

Nel provarlo indosso, la dea esclamò: “sarà davvero di moda!”

Frattanto, Artemide aveva corso e corso per le foreste e cacciato animali dalle pregiatissime pelli, con cui Atena le confezionò un morbido e candido abito di pelliccia prêt-à-porter, che prese il posto del corto e abituale chitone, troppo da ragazzina selvaggia e, ormai, “fuori moda”.

Infine, Era, non avendo di meglio a disposizione, procurò ad Atena le penne del cigno con cui Zeus aveva sedotto Leda: Lei, accortasene, le aveva strappate ad una ad una, con non poco disappunto – e dolore – del Signore dell’Olimpo, ridicolizzato e dissacrato come solo una moglie è capace di fare… E con quelle candide piume, la tessitrice apprestò un sontuoso mantello di grande effetto che – assicurò – da allora avrebbe costituito “un abito cult per l’alta moda”!

Così era nata la moda, destinata (ah, se le dee dell’Olimpo lo avessero saputo prevedere!) a soppiantare pian piano l’antica religione, per costituirne una nuova, fatta di tendenze, nuovi materiali, sperimentazioni, passerelle, giornali patinati e quant’altro oggi continua ad attirare l’ossessiva attenzione delle donne… e non solo di esse.

E Afrodite, in tutto ciò? Che fine fece?

Eh… vinse anche quella volta!

Accortasi che i maschi dell’Olimpo erano ormai più attratti dai magnifici filati e dagli accostamenti praticati dalle dee, che, come in perpetua passerella, continuavano a indossare e cambiare l’una dopo l’altra le creazioni della moda… fece un gesto inconsulto: lei, “altocinta, col sole nei capelli, e quel suo portamento, ombre e sorrisi ovunque, sugli omeri, sui fianchi, sui ginocchi, pelle viva, e quegli occhi con le palpebre immense”[1]… lei sciolse la tunica che avvolgeva il morbido corpo e si mostrò, nuda.



Il silenzio avvolse l’Olimpo.

Anche gli uccellini, che svolazzano alle pendici del monte e talora, contravvenendo alle regole poste dalle loro madri, si spingono in alto, oltre le nubi, e, diventati anch’essi immortali nell’Olimpo, cinguettano per l’eternità… anch’essi tacquero.

La fonte del fiume Peneo, che nasce sul sacro monte, nello sgorgare tacque.

E tutti gli sguardi si posarono sul corpo di Lei.

Afrodite aveva vinto.

Dimostrando, una profonda verità, come solo i miti di una volta sanno fare: la bellezza vince sempre, su tutte le mode, in tutti i tempi, ad ogni longitudine e latitudine, nel profondo del mare o sulla vetta più alta, come vinse, anche quella volta, sull’Olimpo.




[1] Il virgolettato è tratto dalla poesia “Per un’Elena” di Jorgos Seferis.

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